Museo Civico "Carlo Verri" Biassono
La vite e il vino in Brianza dai celti al D.O.C.

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TRA IL 1700 E IL 1800
LE OPERE DI CARLO VERRI E CARLANTONIO DE CAPITANI

Anche Biassono è stata, in passato, luogo di viti e vino. Numerose ne sono le testimonianze, che arrivano fino ai giorni nostri. Tutte concordemente affermano che i contadini spesso adibivano parte del terreno alla coltivazione della vite, da cui si ricavava un vino rosso che veniva consumato in famiglia.

Questa tradizione vitivinicola era di antica data ed è già documentata nel IX secolo. A cavallo tra il 1700 e il 1800 la viticoltura era giunta al livello più basso possibile. Si produceva generalmente un vino di scarsissima qualità, salvo ovviamente poche eccezioni. Una tecnica di coltivazione della vite molto diffusa era quella di "maritarla" a una pianta. La buona tecnica consigliava alberi con vegetazione ridotta (si consigliava per esempio il pesco).
La rapida espansione della bachicultura, molto più remunerativa, sia per il padrone che per il fittavolo, richiese l’impianto di grandissime quantità di gelsi che, per ovvi motivi di alimentazione dei bachi da seta, dovevano sviluppare molta foglia. La vite non ebbe più le cure di un tempo e in breve la qualità e la quantità delle uve peggiorarono.
Dagli scritti di Carlo Verri sull’agricoltura si desume, infatti, come prima dei suoi esperimenti la vite non fosse considerata adatta ai terreni biassonesi.
Lo stesso giudizio fu espresso da Carlantonio de Capitani, parroco di Viganò, introducendo il "discorso sesto" sulla coltivazione della vite, contenuto nel secondo dei tre volumi del Catechismo d’agricoltura spiegato ai fittajoli ed ai contadini, scritti entro il 1819, anno della sua scomparsa.

"Alcuni secoli fa, quando non era ancora universalmente coltivato il moro, e la educazione de’ bachi da seta trovavasi ancora nella sua infanzia, la vite formava la base principale della coltivazione dei paesi di collina, e le vigne erano fioritissime: i contadini d’allora sicuramente dovettero essere molto più impegnati per la prosperità di questa pianta, onde ottenere abbondanza di ottimo vino, che non lo sono i contadini de’ nostri giorni, ed in particolar modo i nostri contadini, i quali ci hanno ridotti al caso di non più meritare que’ lusinghieri elogi che gli scrittori antichi profondevano sulla Brianza".
Ma scriveva anche che "... Noi siamo collocati in un clima il più favorevole alla prosperità delle viti, all’abbondanza e maturità delle uve, alla varia squisitezza e generosità dei vini. Un nostro scrittore milanese chiamava la Brianza la cantina di Milano, per le tante decine di carra di ottimo vino spedito alla città."

Il De Capitani dedicò la sua pregevole opera a Carlo Verri da lui considerato e "dall’Italia tutta, non che dalle altre parti d’Europa a buon diritto .. come un gran maestro d’agricoltura, ed in particolar maniera della coltivazione de’ gelsi e delle viti. Sono infatti universalmente conosciuti ed applauditi i vostri Saggi di agricoltura pratica; ed io so di più che Voi benché costantemente occupato nelle grandi Dignità di Stato, pure se trovate un istante di riposo, correte in grembo alla tranquillità campestre per ivi dedicarvi al miglioramento de’ vostri poderi siccome già da gran tempo avete fatto colle tante belle opere di campagna eseguite sul vostro podere situato ai piedi di quest’amena Brianza.".

Carlo Verri (1743-1823) fu agronomo illustre del suo tempo e i suoi volumi sull’agricoltura riscossero un certo successo tanto da vedere numerose edizioni.

Tutti i suoi scritti furono redatti con rigore scientifico e per lo più in modo didattico, esponendo cioè la materia in modo schematico e manualistico. L’autore, infatti, tiene a sottolineare come "... dimenticate le teorie tutte, ed affidato alla sola esperienza mia, mi sono industriato di minutamente descrivere e ridurre a chiari precetti quanto debba praticarsi ...".

La passione per lo studio delle tecniche agricole fu solo uno degli interessi di Carlo che si occupò anche di pittura e fu uomo politico di peso, dal momento che si trovò a gestire come presidente della reggenza provvisoria la critica settimana di transizione che vide il Regno Lombardo Veneto passare dalle mani dello sconfitto Napoleone a quelle dei vincitori austriaci.

La passione per l’agricoltura nacque in Carlo proprio a Biassono dove aveva ereditato una porzione della villa e dei terreni annessi. Dopo il 1787, infatti, si vide assegnati, in seguito alla divisione dell’eredità paterna, i possedimenti di Biassono, dove scoprì una nuova passione: l’agricoltura. Iniziò leggendo i testi di famosi agronomi dell’epoca, poi provò di persona. I suoi esperimenti lo portarono a concludere che viti e gelsi, tradizionalmente ritenuti inadatti ai terreni di Biassono, attecchivano benissimo, purché opportunamente curati.

Consigli, piccole scoperte e curiosità finirono in numerosi volumi editi dalla Tipografia Silvestri, che potremmo definire la tipografia di famiglia, visto che presso lo stesso editore vennero stampati anche gli scritti degli altri fratelli, Alessandro, Giovanni e il più famoso Pietro.

In particolare dobbiamo ricordare due opere che riguardano la vite ed il vino: Saggio di agricoltura pratica sulla coltivazione delle viti uscito nel 1803 e Del vino discorsi quattro uscito postumo vent’anni più tardi nel 1823.

DEL VINO DISCORSI QUATTRO

Il volume dedicato al vino viene diviso, come era solito fare il Verri per tutte le sue opere a sfondo scientifico, in "discorsi" (che oggi chiameremmo capitoli) ordinati seguendo le fasi di lavorazione. Si comincia pertanto con la piantagione della vigna per arrivare alla vendemmia, alla fermentazione e, da ultimo alla conservazione.

Oltre a norme teoriche troviamo anche notizie sulla viticoltura in Lombardia ed in Brianza nel 1800. Sui vini dell’allora Regno Lombardo l’autore menziona quelli che presentano le migliori caratteristiche qualitative. Sono citate le località più rinomate per il vino: Varese, Monte Vecchia, Monte Orobbio, Rocca d’Angera, San Colombano, Magenta, Pessano e Busto Piccolo (l’attuale Busto Garolfo). Più avanti il Verri nomina anche le località comasche di Pallanza e Belgirate, oltre alla Franca Contea (l’attuale Franciacorta).

Il Verri difese la qualità dei vini lombardi tacciando i suoi conterranei di ignoranza in fatto di scelta. Sostenne infatti che è più facile trovare vino di buona qualità presso “agenti e fattori” più che sulle tavole degli “agiati cittadini” e che la minore bontà doveva essere imputata alla negligenza nella conservazione del prodotto finito più che ai metodi di produzione.

Infatti i milanesi erano soliti rifornire le proprie cantine con vini dell’oltre Po, famosi anche a quell’epoca per la loro bontà. Altri vini citati per bontà e fama sono, oltre a quelli francesi e toscani, anche quelli del modenese (forse i nostri Lambrusco o Sangiovese). Sui vini prodotti lontano dai confini lombardi il Verri aveva da obiettare non tanto sulla qualità, quanto sui metodi di trasporto. Aveva infatti avuto modo di osservare come il vino venisse travasato nei barconi che lo trasportavano fino a Milano. Il vino veniva fatto scorrere dalle botti poste nei carri a quelle sulle barche tramite gocciolatoi simili alle nostre grondaie. Questo il commento di Carlo: "... un così barbaro metodo basta da sé solo a dimostrare quanta sia la trascuratezza; né credo possa farsi di peggio tramutando da una ad altra botte il vino".

SAGGIO SULLA COLTIVAZIONE DELLE VITI

Per ottenere una migliore qualità il Verri propone di iniziare da una corretta coltivazione della vite tanto da dedicare all’argomento un’opera a parte: “Saggio sulla coltivazione delle viti”. La vite, infatti, deve essere “educata” come un bambino, che va inizialmente ben nutrito. Poi la vite deve essere “costrutta con parti sane, senza ferite, con ben disposta ramificazione”. Per ottenere questi risultati si deve prestare attenzione a scegliere una terra ed un clima adatti. I due elementi sono tra loro connessi e, come dice il Verri, il posto migliore dove piantare una vite è dove prosperano il fico, il mandorlo ed il pesco.

L’autore si inoltra poi a disquisire su come fare le nuove piantagioni, sulla fertilizzazione del terreno e sul taglio che va fatto in ogni stagione, sia usando le mani (“scacchiare”, lo definisce il Verri), sia con gli utensili più adatti allo scopo.

Le stesse considerazioni fatte per la scelta del terreno vengono riprese per quel che riguarda il momento della vinificazione. A parità di vite, infatti, l’uva cresce e matura in modo diverso a seconda della “latitudine” a cui viene coltivata. L’autore sostiene, infatti, che le medesime piante, con un clima, un suolo, un’esposizione al sole differenti, forniranno qualità differenti di vino.
La vendemmia è il momento più importante in tutta l’annata vinicola. Il Verri lo sapeva bene, tanto da proporre di tornare alle buone usanze dei tempi antichi, quando erano le autorità locali a decidere il momento della raccolta. L’uva veniva giudicata pronta se il grappolo aveva il gambo di colore scuro, se pendeva adeguatamente, se la “pelle del grano”, cioè del chicco, era lucida, se i chicchi si staccavano con facilità.


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