Museo Civico "Carlo Verri" Biassono
La vite e il vino in Brianza dai celti al D.O.C.

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IL VINO. UN ALIMENTO.

Il vino per secoli è stato considerato un importante alimento. Le testimonianze sono tante, ne citiamo alcune particolari ricordando che l’accoppiata "pane e vino" era considerata nei secoli passati un buon apportatore di calorie, necessaria a fornire energia pura ai lavoratori e non solo.

Il vino come mercede

In molti contratti di lavoro si legge che la mercede era comprensiva della consegna giornaliera di vino. Nel Memoratorio de mercedes Commacinorum, una specie di “prezziario” dei “maestri commacini” longobardi, datato al VII o VIII secolo, in Mem.5 si ha l’indicazione dell’Annona, pagamento in natura (in generi alimentari, differenziati in modo da proporre una dieta tipo), pari al valore di un tremissis (moneta d’oro di circa un grammo e mezzo) “segale modia tria, lardo libras decem, vinum urna una, legumen sextaria quattuor, sale sextario uno”. L’urna era una unità misura per liquidi. Il “moggio”, la “libra”, il “Sestario” erano altre unità di misura e di peso della segale, del lardo, dei legumi (fagioli o ceci o fave).
Per un’età successiva, inizio del XVI secolo, riportiamo i patti fra il priore e i monaci della Certosa di Pavia, da una parte, e gli scultori Antonio Della Porta detto Tamagnino e Benedetto Briosco, celebre scultore brianzolo, dall’altra parte, per finire la facciata della chiesa del monastero. Era prevista la corresponsione di due boccali di vino al giorno per i maestri e uno per i garzoni. Un boccale corrispondeva a 0,78 litri e due boccali corrispondevano a una pinta da 1,56 litri.
“Item similiter teneantur et obligati sint predicti domini prior et monaci nomine dicte fabrice et agentes pro ea ultra predicta etiam dare et traddere ipsis magistris et laboratoribus qui laborabunt in laboreriis dicte faciate vinum, videlicet: bochalia duo vini magistris, pueris vero suis seu garzonis qui cum eis laborabunt bochale unum vini omnibus suprascriptis illis dumtaxat diebus quibus laborabunt in dictis laboreriis et opere, non autem aliis diebus ad computum ut supra.
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(1508, marzo 3. Archivio di Stato di Pavia (A.S.P.), Notarile di Pavia 497, notaio Gio. Antonio Gabba fu Lorenzo)

Il vino e la vigna nei contratti d’affitto

Anche nei contratti d’affitto di una vigna il vino aveva voce preminente.
La signora Teresa Monti Secco, fu Dionigi e vedova di Barnaba Secco, di Milano, p.n. p.S. Bartolomeo, affitta a Battista Ghezzi fu Cristoforo e i suoi figli Paolo e Giuseppe, abitanti a Briosco nella cascina del Simonte, beni tra cui una vigna chiamata il Chioso sita in Briosco e un’altra vigna chiamata la Novella sita in Vergo con Zoccorino, con i seguenti patti: che detti conduttori siano tenuti dare et consignare ogni anno la metà del vino che si racoglierà dalli suddetti beni alla detta signora locatrice nelle sue canepe in detto luogho di Briosco … Che siano tennuti detti conduttori zappare, regolzare et rifrescare tutte le viti a suoi tempi debiti et almeno due volte l’anno et a quelle siano tennuti essa signora locatrice et detti conduttori, ciascheduno per metà, mettervi il rudo per ingrassarle et quando li suddetti conduttori non ne metteranno la sua metà possa la suddetta signora locatrice farle lei ingrassare a spese delli suddetti conduttori. Idem s’intende ancora viceversa a favore delli conduttori, perché così. Che non possino li suddetti conduttori seminar li fili delle viti, salvo che de legumi e robba da zappa, con che nel piede delle viti non vi possino seminar cos’alcuna nepure da zappa perché così.
Che abbino a pigliar detti conduttori in consegna tutte le viti, gabbe et altre piante e quelle poi riconsignare in fine della presente locatione alla suddetta signora locatrice perché così.
Che nel piantar le viti e refilando li fili non possano detti conduttori sterpar le gabbe se la sudetta signora locatrice non le vederà e se saranno dannose o di poca cavata siano delli conduttori perché così.
Che li sudetti conduttori siano tenuti refilare li fili delle viti a sue proprie spese e s’intenda refilare quando in un filo mancheranno otto o dieci piedi de viti e non più perché così.
Che siano obligati per metà la detta signora locatrice e per l’altra metà li sudetti conduttori mettere li pali che faranno de bisogno per la detta possessione, con che però sia tennuta la sudetta signora locatrice mettere li pali tutti del suo per li fili novi per la prima volta solamente perché così.

(1678, agosto 16; ASM, Notarile 33252, notaio Fabrizio Tuoni)

La carità di pane e vino

“Pane e vino” erano le provvidenze più ambite distribuite dai luoghi pii. Un esempio ci viene da Monza, dal Luogo Pio del “Convenjo”, detto anche di San Bernardo, fondato dal terzo ordine degli Umiliati di Monza nel XIII secolo. L’ordine degli Umiliati era un ordine di laici a cui San Bernardo di Chiaravalle dette la regola, abolito da San Carlo Borromeo.
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L’Hospitale, sorto per l’assistenza dei poveri e derelitti, veniva in vari modi incontro ai bisognosi anche con l’istituzione di doti e con la distribuzione di alimenti.

Il giorno di san Tommaso si distribuiva un segno o tessera di carità che dava “diritto a ritirare un boccal di vino bono, una razione di pane di formento e una misura di miglio”.

Tessera di carità - 1750
D/ •SANC • •BERNARDVS S.Bernardo nimbato, stante frontale, con pastorale nella d., scaccia il demonio rannicchiato a d.. A s. una mitra vescovovile su cuscino. In c.rig.
R/ Su più righe V.L.P. / CONVENIJ / MODOETIÆ / fregio / 1750 In c.rig.

Un altro esempio ci arriva da non molto più lontano, da Cassano d’Adda, dove il Luogo Pio Santa Maria dei Poveri distribuiva principalmente elemosine costituite da pane e vino.

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Tessere fuse in bronzo del L.P. o Scuola della Madonna dei Poveri di Cassano d’Adda che davano diritto a ricevere una razione di vino.

Pane e vino all’Antico Albergo della Canonica

Antonio Ghislanzoni (Lecco 1824 – Caprino Bergamasco 1893), patriota, cantante, giornalista, poeta e scrittore, che noi conosciamo principalmente per i libretti dell’Aida e della Forza del Destino, scritti per Verdi, ci ha lasciato un gustoso racconto umoristico pubblicato nel 1871 dal titolo “Un apostolo in missione” .
Nel secondo capitoletto narra di Augusto Regola, regio impiegato, padre di numerosa famiglia, che una sera del 28 settembre 1861 giunse a Canonica al Lambro per pernottare all’Antico Albergo. Il nostro uomo era solito fare un giro in Brianza di una settimana al tempo delle vacanze. La sua numerosa famiglia lo obbligava ad ingegnarsi, con mille stratagemmi economici, per riuscire a stare nel ridottissimo budget di spesa preventivato.
La sera dell’arrivo all’Antico Albergo, dopo aver scartato i piatti che l’ostessa consigliava adducendo vari motivi, l’impiegato regio ebbe un’idea eccellente.

“Vuole un bel pezzo di stufato ... numero uno, prima cottura?”
“Alla sera gli è un po’ pesante ... tanto più che qui in campagna bisogna andare a letto di buon’ora ...”
“Avrei dei funghi cotti alla spazzacamina” – dice l’ostessa.
“Eccellenti i funghi alla spazzacamina! Peccato che due ore fa abbiamo mangiato del latte a Biassono!”
I pesci fritti vengono rifiutati in grazia delle scaglie. Le uova perché indigeste alla sera.
I formaggini di capra perché troppo eccitanti. L’insalata perché troppo deprimente.
“Oh! Mi viene un’idea!” - esclama il signor Regola battendosi la fronte, come uomo galvanizzato da subita ispirazione – “Una cena poetica! Una cena di occasione! ... Se bevessimo ... del torbolino! ... Del torbolino dolce! Che ne dite, figliuoli? ... Quattro fette di pane nel torbolino : non è questa la migliore delle cene? … Da bravi! Attorno alla tavola! ... sedete ... La nostra brava cugina (l’ostessa) ci fornirà quattordici bicchieri puliti e due boccali ... no! ... basteranno sette bicchieri ... Il torbolino riscalda ... Dunque sette bicchieri ... del più fino! Due pagnotte di mistura! ... Ed ecco improvvisata una cena di nuovo genere ... una cena gustosa ... né troppo grave allo stomaco, né troppo leggiera ... Che ne dite, figliuoli?”


Pane e vino dunque per Ghislanzoni non erano affatto una novità ma una popolarissima abitudine alimentare, senza dubbio dallo stesso autore molto praticata. Non dimentichiamo la sua abituale “scarsità di liquidi”: in una sua autobiografia ebbe a dire “In Italia la letteratura è mal retribuita: io vivrò e morrò bohème”.

Certamente oggi storciamo il naso nel leggere di un vino dato a dei fanciulli, ma andrebbe considerato che il torbolino più che un vino è ancora un mosto, un moscatello dolce non filtrato e non ancora del tutto fermentato, quasi un vin de pomm.


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