Il Museo “Carlo Verri” possiede due torchi a vite. Il primo, a sinistra, è esposto; l’altro è attualmente in restauro. Entrambi sono di grandi dimensioni e provengono dalla Brianza. Quello a destra, con azionamento dal basso mediante un riduttore a ingranaggi, proviene da Capriano di Briosco, una zona un tempo produttrice di buoni vini.
Il torchio aveva due diversi utilizzi, dipendenti dal tipo di pigiatura delle uve. Quando la pigiatura era eseguita con la spremitrice a rulli, le vinacce erano immediatamente portate al torchio dove con una leggera pressione si completava la pigiatura. Se la pigiatura delle uve era fatta con i piedi direttamente nel tino, dopo la svinatura le vinacce erano messe nel torchio e torchiate a fondo. Si produceva un vino considerato di qualità inferiore a quello pigiato. Questo era destinato al consumo familiare. Il citato Carlantonio De Capitani informava che a volte si usava anche “fare il vino innacquato, che serve per essere bevuto dalla gente bassa nel verno”, che si produceva versando dell’acqua sulle vinacce prima di toglierle dal tino e torchiarle poi passati alcuni giorni. “Invece dell’indicato vino innacquato, un tempo si fabbricava la posca, fatta coll’infondere molt’acqua sopra le vinacce dopo che erano già state spremute”.
Francesco Cherubini nel suo Vocabolario Milanese – Italiano (1814) riporta il modo di dire “vin de forbesett” che si dice in Brianza per “quel vino che esce ultimissimo dalla stretta del torcolo, perché le forbicine, cioè gli insetti dette forficulae auriculariae, nascondendosi fra acino ed acino nelle vinacce non rimangono ammazzate che da ultimo.”

Torchio a cricchetto

Torchio a volano

Disegno schematico di un torchio a vite da un manuale di enologia (1876)

Vecchio torchio detto “di Plinio”. Museo di cascina Casarigo-Montevecchia