Museo Civico "Carlo Verri" Biassono
Sulle rive del Po tra Bizantini e Longobardi (VI sec. d.C.) il grande tesoro di piccole monete di Brescello (RE)

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ITRODUZIONE

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L'Italia tra bizantini e longobardi

Nel 568 dopo Cristo Alboino, re dei Longobardi, scendeva in Italia con il suo popolo. L’Italia era stata da pochi anni riconquistata da Giustiniano, Imperatore di Bisanzio, che aveva sconfitto gli Ostrogoti, dopo una lunga guerra (536-553) che aveva lasciato l’Italia in ginocchio.

I bizantini prima cedettero alla violenza del guerrieri longobardi, che percorsero tutta la penisola, fino allo stretto di Messina. Poi si riorganizzarono, con la difesa tenace di alcuni territori, Roma e il Lazio, la Romagna, parte della Campania, la Calabria e la Puglia, la Liguria, che riuscirono a tenere sotto controllo. Nell’italia del Nord contingenti militari bizantini resistettero isolati anche per decenni, come Francione sull’Isola Comacina, nel Lago di Como.

Alboino, re dei Longobardi, affidò il territorio al dominio dei Duchi giunti con lui dalla Pannonia (attuale Ungheria). Ma, morti assassinati Alboino e Clefi, il suo successore, per dieci anni (574-584) l’Italia fu in preda all’anarchia, divisa tra numerosi ducati indipendenti, spesso in lotta tra di loro. Solo alla fine, con la nomina del re Autari (584) e poi di Agilulfo (590), sposi della Regina Teodolinda, la Longobardia ritornò unita.

In questi primi decenni di occupazione molti territori italiani, pur con la presenza dei guerrieri longobardi, rimasero in parte autonomi, con la popolazione locale affidata alle cure dei sacerdoti che non erano fuggiti presso i bizantini, come aveva fatto il Vescovo di Milano.

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La diacesa dei longobardi
Si mantenne così l’uso della moneta per i modesti scambi commerciali che erano ancora possibili in quest’epoca calamitosa. Ma le zecche ufficiali erano ormai chiuse da tempo, la moneta corrente era stata requisita dai Longobardi, la moneta bizantina non riusciva a passare il confine. Così qualcuno, forse presso le chiese ancora aperte nelle città, coniò piccole monete in bonzo di emergenza, che servivano alla popolazione “romanza”, che parlava latino. Erano gli “assegnini” del tempo.

Monete che recavano un volto appena accennato sul Diritto e di solito la Croce nella ghirlanda sul Rovescio. Questo monete erano piccolissime e per lungo tempo gli archeologici le hanno ignorate. Non erano visibili nello scavo, erano state distrutte dagli acidi del terreno, non interessavano i collezionisti, perchè considerate troppo piccole e modeste. Sono invece della più grande importanza, uniche testimonianze di un mondo che ci ha lasciato pochissime tracce. Se ne conoscevano solo pochi esemplari, alcuni dagli scavi del Duomo di Milano. Molti studiosi ne negavano addirittura l’esistenza.

Ma, in un centro sulle rive del Po, a Brescello (RE), nel VI secolo di grande importanza perché collocato lungo l’unica via d’acqua ancora percorribile, con tutte le vie di terra ormai tagliate, e perché al confine tra Bizantini e Longobardi, qualche decennio or sono era stato scoperto un piccolo tesoro, un ripostiglio di queste piccole monete. Non sappiamo da chi e quando esattamente. Ma il “Ripostiglio” di Brescello venne in parte donato ad Alberico Lopiccoli, allora Ispettore Onorario della Soprintendenza, fondatore del GRAL e del Museo Civico Carlo Verri. Era certo sua intenzione studiarlo e segnalarlo alla scienza, ma dopo poco tempo lasciò la Direzione del Museo. Alberico Lopiccoli scomparve nel 2004, portando con sé il nome del donatore, e il “Ripostiglio”, in un cartoccio con sopra scritto “Brescello”, rimase dimenticato nel magazzino del Museo, fino al definitivo riordino lo scorso anno.

Oggi, studiato da Ermanno Arslan, Conservatore del Museo, è pubblicato in Francia nella Raccolta di Studi in onore di Cécile Morrisson, illustre numismatica parigina.

Le monete recuperate, che sono state affidate in deposito dalla Soprintendenza al Museo, non sono certo tutte quelle originariamente ritrovate a Brescello, delle quali non sapremo mai il numero esatto. Però, diffusasi la notizia del recupero in Museo, si è saputo che esisteva un altro piccolo nucleo, già disperso, ma per il quale siamo riusciti a procurarci le scansioni e i pesi di 39 esemplari. Così le monete presentate, in parte con gli esemplari originali e in parte con immagini, sono ora 293.

Le monete sono anche in parte vecchi esemplari ancora presenti in circolazione, con tipi vari, spesso molto consunti e di difficile lettura. Nella maggior parte hanno la Croce potenziata in ghirlanda, spesso così deformata da essere irriconoscibile. I tipi sono completamente diversi sia da quelli delle monete bizantine che da quelli delle monete longobarde (che comunque non coniavano oro). Essi richiamano solo lontanamente le monete in rame dell’Impero Romano del V secolo d.C. I conii di Diritto (di incudine) sono pochi, mentre quelli di Rovescio (di martello), sono moltissimi. Quasi tutte le monete sono legate in sequenza di conio. Ciò indica che le monete sono state raccolte poco tempo dopo la loro produzione. La loro datazione è piuttosto ristretta, tra il 580 ca e il 600. Non vennero certo prodotte a Brescello. La presenza di tipi diversi indica che sono state raccolte altrove. Non sappiamo dove, forse in una città non lontana, che potrebbe essere Cremona, o Mantova, o anche Milano o Bergamo. O un altro centro importante. Non una città dell’Emilia dove circolava la moneta bizantina.

A che potevano servire? E’ necessario ricordare come l’economia dei territori nei quali circolavano era allo stremo. Con queste piccolissime monete era solo possibile sopravvivere: sappiamo che in quegli anni 16 Nummi (le nostre monete erano “Nummi”, con un peso medio di poco più di 0,36 grammi), erano sufficienti per mantenere frugalmente un monaco per un giorno. Un salariato ne guadagnava invece 100-120 per un giorno di lavoro. Le monete trovate (ma certo erano di più) significavano 2 giorni e mezzo di lavoro. Facendo le debite proporzioni, i quasi 300 piccoli Nummi del ripostiglio possono corrispondere a quello che oggi sono 150 Euro, guadagno di due giorni e mezzo di lavoro per un “salariato” a mille Euro al mese, e potevano servire a mantenere un monaco per circa 19 giorni. Dobbiamo però ricordare come i tipi di spesa siano oggi completamente diversi da quelli del VI secolo, quando la maggior parte del reddito era destinato all’alimentazione e tutto il resto (servizi di ogni genere, oggetti in metallo, tessuti, scarpe, ecc.) aveva prezzi proibitivi, per noi inimmaginabili, e non esisteva alcun prodotto tecnologico.

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