Museo Civico "Carlo Verri" Biassono
La vite e il vino in Brianza dai celti al D.O.C.

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I CONTENITORI DA VINO NELLA STORIA

Nella storia i contenitori dedicati al vino hanno avuto un’evoluzione legata alla cultura e alla localizzazione dei popoli che lo producevano. Proprio ripercorrendo, grazie all’archeologia, la loro storia, si riconoscono i diversi recipienti da vino in ogni epoca e in ogni cultura.
A partire dal Neolitico (8000-4500 a.C.) per la prima volta nella storia dell’umanità iniziò la produzione del vino. In questo periodo venivano utilizzati, per la sua conservazione, tini e giare (recipienti di grandi dimensioni) in terracotta che, data la relativa facilità di produzione, risultava essere il materiale più adatto anche se molto fragile. Anche l’otre di pelle veniva utilizzato per la conservazione e per il trasporto. Questo contenitore era realizzato con la pelle di un animale rovesciata, cioè con il pelo collocato all’interno (o raschiato) ed aveva la forma dell’animale o di un sacco. Era molto pratica per il trasporto in spalla.
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Interno di Kylikes attica da vino. Un giovane versa del vino da un otre colmo in una grande coppa, da Tanagra. 520-510 a.C. Parigi, Museo del Louvre.
In epoca egizia iniziarono a fare la loro comparsa le prime anfore di terracotta. Nonostante, come tramanda anche Erodoto, il popolo egiziano preferisse la birra, si hanno testimonianze della produzione di vini rossi, realizzati con uva nera, tipica dei climi temperati. Le anfore con il collo stretto e due manici, erano sigillate con un tappo cilindrico di terracotta o di altro materiale. Sul tappo erano spesso impressi i sigilli con il nome del faraone (che serviva a datare la sigillatura).
Ma furono certamente i Greci che più ampiamente diffusero la cultura del vino, la "bevanda di Dioniso", nel resto dell'Europa. Anche i Greci conservavano il vino in anfore di terracotta, con una forma studiata per la loro collocazione nelle stive delle navi. Esse al posto del piede avevano infatti un “puntale” sul quale si reggevano.

Durante il simposio (letteralmente “bevuta insieme”) greco, che aveva caratteri rituali ed che era uno dei più importanti momenti di socializzazione dell’antica Grecia, il vino era contenuto nel "cratere", contenitore di grandi dimensioni in cui avveniva materialmente la miscelazione del vino con l'acqua (non era infatti uso consumarlo puro). I reperti archeologici, a questo proposito, hanno restituito un eccezionale oggetto: il cratere di Vix (piccolo centro nella attuale Borgogna, in Francia). E’ un cratere in bronzo di enormi dimensioni, del tipo "a volute". E’ il più grande a noi giunto dall'antichità, scoperto nel 1953 nella tomba di una principessa celta, datato al 540-530 a.C.
Da questi grandi crateri si attingeva, di solito con un mestolo metallico, il vino miscelato, che veniva versato nell’’'Oinochoe (“brocca da vino”), con la quale veniva distribuito nelle coppe dei partecipanti al simposio, le cosiddette Kylikes (da cui “calice”), recipienti larghi e poco profondi (simili alla nostra coppa da Champagne), con due anse laterali orizzontali.

Anche nella cultura etrusca il culto del vino si fondeva con i riti legati alla spiritualità (col vino si onoravano, per esempio, i morti). L’ebbrezza provocata dal vino permetteva la percezione del “divino”. L’Oinochoe etrusca in bronzo viene chiamata dagli archeologi “Schnabelkannen” (termine tedesco: “brocca a becco d’anatra”). Sono state ritrovate con frequenza anche nei corredi delle tombe a tumulo dei principi celti e forse erano state utilizzate per i riti funerari.
I Celti, antichi abitatori di tutta l’Europa continentale, amavano molto il vino e, come raccontano gli storici, erano tradizionalmente inclini all’ubriachezza. Quando iniziarono a produrlo, inventarono (in luoghi dove era facile procurarsi il legno), per la fermentazione del mosto e per conservarlo, invecchiarlo e trasportarlo, la botte, identica alle nostre, più solida e adatta delle anfore al trasporto e spesso di grandi dimensioni.
Il contenitore in terracotta più piccolo, che probabilmente giungeva alla tavola, in Italia Settentrionale celtica, dalla fine del III secolo a.C era detto, per la sua forma, “a trottola”. Aveva un collo molto stretto, adatto ad essere “tappato”, e non aveva manici, come il nostro “fiasco” in vetro. Il vaso a trottola subì nel tempo, varie modificazioni, diventando sempre più schiacciato, anche con eleganti decorazioni dipinte. Non venne più prodotto dall’età augustea, sostituito dal “Lagynos”, con un’ansa verticale, di origine italica, portato dai Romani.

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Didascalia
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Collibus an plano melius sit ponere vitem,
quaere prius. si pinguis agros metabere campi,
densa sere (in denso non segnior ubere Bacchus);
sin tumulis accliue solum collisque supinos,
indulge ordinibus

Se in collina o in piano sia meglio porre la vite, è il tuo primo
problema. Se assegnerai alle viti campi di una pianura grassa,
piantale fitte: quando la piantagione è fitta, Bacco non è meno
solerte a produrre. Se hai un terreno accidentato di rialzi
e colline dal lieve pendio, dà più spazio ai filari
Virgilio, “Georgiche” II, 273-277


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